sabato 4 maggio 2013

Stairway to heaven di mattoni gialli: Intrallazzi e uccellini


Tanto per cambiare, il mio cervello deragliava pericolosamente verso dilemmi esistenziali. “E che palle“ già vi sento bisbigliare, miei fedeli lettori, e lo capisco, ma abbiate pietà: ero anche vittima da una testata alla testiera (scusate il gioco di parole, potrebbe essere un danno collaterale – o il principio di un ictus, una delle due). E siccome non ci si è fatti mancare nulla, ecco il mio nuovo coinquilino entrarmi in camera.

Oh, ci manca solo che mi offra una canna.
…me la offre.
Porco piercing, San Francesco, San Francesco in persona mi sta offrendo una canna!
E chi sono io per rifiutare? Non sarebbe dovere da buon cristiano. Alé!
Dopo aver consumato quel piccolo cilindro di paradiso della Maria (e visto chi mi ritrovo in casa, mai appellativo fu più appropriato di così), mi ritrovai a scherzare con il nuovo arrivato, che si rivelò, vuoi per le canne, vuoi per il confronto forzato con i suoi predecessori, molto gradevole, tanto che presi anche a giocare con i suoi animaletti (certo, ho quasi dato un morso a Norcia, la maialina timida, ma ero in fase di smaltimento da fame chimica), e parlando del più e del meno alla fine anche Francesco mi rivelo i guai che l’avevano spinto fin sulla porta di casa mia. La DDIGOS (no, non è un errore di stampa, la D extra sta per “Divina”. Anche lì hanno poca fantasia) gli stava alle costole, rendendo la sua vita gradevole come un risveglio dal sonno dei giusti sulle note di Marco Masini.
Parole sue, eh.
Certo che questi santi semiseri hanno un umorismo davvero strambo: di quelli che ti strappano una risata a mezza bocca e uno spintone a mezza spalla, arguto e stupido nello stesso tempo. Io intanto continuo a dargli corda, interessato a come e cosa possa ricercare la Divisione Divina Investigazioni Generali e Operazioni Speciali.
<<Ma che avevi combinato di così grave?>>
Ma niente, le solite cose. Sai, in paradiso abbiamo una pletora di leggi non scritte per questo genere di cose. Un po’ come quelle italiane: contraddittorie, senza senso, e ridondanti. E naturalmente tra queste c’è appunto l'illegalità della marijuana…tsk! Come se non avessi visto degenerare tante di quelle messe per un’ostia al vino di troppo…insomma, ne avevo comprato solo un paio d’etti, roba da niente, e si sono messi a starmi alle costole. Quindi ho preferito cambiare ambiente per un pò.
<<Altro che vacanza...beh, almeno tu sei meno frivolo degli altri due>>
Beh, per essere un santabbestia, se non altro è una persona a posto. Poi però mi sovvenne un dubbio.
<<Ma scusa, le leggi chi le fa?>>
Eh…vedi, qui la cosa si fa un po’ incresciosa. Dopo un sacco di brogli burocratici, congiunture, riunioni dei sindacati…beh, per fartela breve, hanno sbolognato il tutto a San Pietro. E’ lui il capoccia esecutivo, adesso, anche se da noi si continua ancora a chiamarlo “Primo Santissimo Detentore del Cancello Celeste”. Alcuni lo chiamano “Vicepresidente Junior Executive”, ma per il momento la tradizione prevale.
<<Woh! Non oso immaginare chi sia il capo della Polizia…>>
Eh…è Giuda.
Poco mancò che ingoiassi la canna dalla sorpresa. Tossicchiando, lo guardai stralunato.
<<QUEL Giuda??? Ma…ma…>>
Lo so, lo so, non me ne parlare. Dopo i suoi ‘spiacevoli trascorsi’ si è pentito ed è diventato collaboratore delle procure angeliche. Non ti dico quanti ne ha mandati all’Inferno al posto suo. Poi si è avvalso del rito abbreviato, del patteggiamento, delle lungaggini giuridiche…per farla breve, dopo neanche mezzo secolo di carcere è uscito, ed ora comanda la DDIGOS. Bell’affare, eh?
Proprio bellissimo…questo esplicitava tutto. Del resto, lo dicevano anche gli antichi: “Come in cielo, così in terra”.
‘tacci loro…
Dopo esserci salutati in amicizia, rimasi solo nella stanza a guardare il vuoto e a pensare al passato, alle mie azioni, e man mano mi estraniai verso argomenti più lontani nello spazio e nel tempo: la fine della storia tra Belen e Corona, gli universi paralleli, la pasta al sugo di mia nonna Miriam, cosa stesse facendo adesso zio Reginaldo de “Gli Aristogatti”.
Roba seria, per intenderci.
E propio mentre la corrente dei miei pensieri diventava ruscello dove adagiare il mio riposo, sentii picchiettare al vetro della mia finesta. All'inizio non diedi peso a quei battiti sul vetro, convinto che fosse un ramo che puntualmente mi scartavetrava i maroni scosso dal vento – da notare, contro la finestra appena ripulita -  sbattendo gli aghi da pino sul vetro; come se già non gli bastasse lastricare l’esterno e infilarsi dentro i sandali ogniqualvolta si va in riviera. Dopo aver imprecato contro il tempo e il mal di testa semiciclopico che mi stava venendo dopo la canna, mi alzai e andai alla finestra per suffragare la mia teoria su cosa stesse disturbando il mio riposo. A parte ovviamente la volontà del Padreterno e dei suoi accoliti di sfuggire ai Celesti Protocolli.
Ma quello che trovai non fu il ramo che mi aspettavo.
Per niente.

Era un corvo, un bell’esemplare di una ventina di centimetri, in penne e ossa e con due tondi occhi violetti, che mi guardò di traverso mentre scostavo la tenda. Non sembrò impaurito, o sorpreso, quanto piuttosto ancora più determinato a mostrare di voler entrare in casa.
Per uno come me, nato e cresciuto nella città, già di per suo vedere qualunque volatile più grosso di un fringuello era un evento, ma un corvo vivo e vegeto, e per giunta così testardo, era decisamente una novità per me; quindi, dopo lunghi minuti in cui lui mi scrutava picchiettando sul vetro e io lo studiavo pensando a quanto era figo quell'assolo di chitarra elettrica sul tetto da parte del buon vecchio Brandon Lee, compii una buon’azione e dischiusi le ante, permettendogli l’accesso.
Con un paio di svolazzi neri, il corvo salì con precisione e grazia proprio sull’armadio giallo, fulcro, centro e origine di ogni mia sventura, e si appollaiò lì, fissando il mio letto.
(S)fatto com’ero, la cosa non mi inquietò, anzi mi divertì, e dal canto mio mi distesi semplicemente sul materasso, degnandolo dello stesso blando interesse.
Cominciando a guardarlo, realizzai l’assurdità cromatica che avevo davanti: un armadio giallo con dentro uno straccio marrone, sopra un corvo nero con gli occhi violetti, il tutto in una stanza color latte e menta. Ci mancava solo che in sottofondo ci fosse “In the garden of Eden” degli Iron Butterfly per completare il quadretto. Con lieve e sospirata costernazione constatai che di dormire non se ne parlava, quindi, nel mio stato allucinato, feci l’unica cosa possibile: cominciai a conversare col pennuto.
            <<Ciao>>
Il corvo si gonfiò nel piumaggio, continuando a guardarmi col capo inclinato, e poi, lentamente, aprì il suo nero, affilato becco ricurvo e…
            Crah!
Beh, che vi aspettavate che dicesse, la messa cantata? Era pur sempre un corvo, e meno indiscreto dei miei ultimi interlocutori, se non altro. Quindi, decisi di svuotarmi lo spirito con lui: se non altro non avrebbe avuto nulla da aggiungere per rendermi più amaro questo calice.
…mi sbagliavo…
quanto mi sbagliavo…
<<Sai…ho sempre voluto che nella mia vita ci fosse più movimento. Ero un fan dei thriller mistici, tipo quelli di Dan Brown, sai. Eeeee…a volte - è un pò imbarazzante - mi sono immaginato come Robert Langdon, a vedermela con misteri ancestrali e verità scomode. Beh, di quelle ne ho trovate pure troppe…e speravo che non si finisse a gestire un bed&breakfast per santi da calendario. A volte mi chiedo…se con questo casino riuscirò a trovare una donna che mi amo…come il mio primo amore…>>
Mai più.
Minchia, quanto ho sobbalzato. Ho visto il soffitto avvicinarsi pericolosamente. O almeno, spero che quello fosse per il sobbalzo. Con tanto d’occhio, torno a scrutare il corvo, sempre lì fermo.
Mai più.
E qui, un florilegio di pensieri esce percolando dalla mia corteccia cerebrale.
·         Sto parlando a un corvo: sono impazzito.
·         Sto parlando a un corvo: diventerò famoso!
·         Sto parlando a un corvo: la canna ancora deve smaltire.

Mai più.
Certo che dopo un po’ ha cominciato col divenir seccante, la cosa. Già la mia vita sentimentale non è granché, se poi ci si mettono anche dei volatili allanpoeiani iettatori a buttare il carico a spade, è il caso che intervenga in difesa del mio buon nome.
Minchia, se penso bene, da alterato.
<<Ehi, mister Gracchio! Piantala con questo ‘mai più’! La mia ex non si chiamava Lenore, e non siamo in una pessima novella dell’orrore. Quindi dacci un taglio!>>
Silenzio, e poi…
Mai più.
Ma che pezzo di stronzo
<<Ancora continui, sottospecie di spazzino monocromatico? O pensi di essere in vantaggio solo per l’accostamento di colore grottesco? Nemmeno sei capace di cacciare prede tue e ti permetti di criticare come ‘caccio’ io? Ah! Campo da ben prima di te, ho vinto dispute verbali molto più complesse di questa, e sono di almeno tre gradini più in alto nella gerarchia animale! Come la metti adesso, mangia carogne?>>
Avevo toccato il fondo. Mi stavo coprendo di glorie più o meno spudorate sulla mia nascita e dinastia con un miserabile pennuto, che magari quelle parole le aveva sentite dal suo padrone, un fissato di racconti del terrore, o cacchiate simili.
Il corvo dal cantò suo prese a fissarmi senza spiccicar parola, con una strana luce nello sguardo; all'inizio non capivo di che sentimento si trattasse, ed ero quasi terrorizzato all’idea che calasse giù e mi cavasse gli occhi.
Poi me ne resi conto.
Pietà.
Un corvo mi stava guardando con pietà
Nel mio animo sprizzarono con la potenza di un geyser rabbia e vergogna, che furono seguite subito da freddezza e negazione. Non era successo niente, il corvo non aveva parlato e io non gli avevo confidato i miei dispiaceri in una notte di pioggia.

Quasi quasi me lo mangio.
Nah, troppi parassiti.
Chiederò a Francesco cosa fare, dopotutto l’esperto è lui.

                                                                                             (c) Sigmund&Fafnir 

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