sabato 4 maggio 2013

Stairway to Heaven di mattoni gialli: la Vergine di Norimberga


 Dopo aver ingerito una buona dose di frustrazione salsedinosa, contornata da un non meno salsedinoso Tequila Sunrise, tornai in camera: non volevo dare un dispiacere a quel giovanotto così disponibile, sia per la sua spontanea gentilezza che per la sua leggera tendenza alla minaccia a mano armata.
Dio, come di suo solito, è lì ad attendermi alla scrivania (non seduto, per carità sua: il Signorino ci deve levitare sopra stile genio della lampada) e mi squadra dall’alto in basso con il suo solito ultracorpico sorrisetto da paternale, senza nemmeno prestarmi troppa attenzione.
«Lasciami indovinare: ora Diovid Copperfield intende esibirsi in qualche numero di magia come la sparizione dei miei capelli anzitempo? No, no, anzi, ora lo stupefacente Roberto Bollevitico si esibirà per noi nella danza della pioggia! O forse sua Smeraldosa Altezza il grande e potente Roz vuole predirmi l’arrivo della cirrosi entro il prossimo martedì? Bella predizione, non fosse che dipende da quei liquami alcolici che continui a farmi tracannare dal rubinetto di casa»
Rilassati, sorbetto nevrastenico al limone. In verità ti dico: volevo solo cambiare la lampadina.
Va bene, i miei nervi sono logorati che manco le linee elettriche durante una tempesta di fulmini. Respiro profondo…inspira…espira…ok, sono calmo, pronto al dibattito.
Forse.
«Ok, va bene, cerchiamo di riprendere il controllo, supremo distillatore idraulico di straforo. Quanti pseudo-santi devo ancora aspettarmi di veder varcare la mia già tormentata soglia di casa (per non parlare di quella della mia pazienza)? O hai intenzione di rendere questa casa l’ennesima protagonista di Extreme Makeover? Già me la vedo, la scusa: il poverino soffre di una forma grave di claustrofobia sonnambula che mi fa spostare di camera in camera senza soluzione di continuità, o magari sprazzi di una malattia incurabile che ti inventerai sul momento che mi costringerà a consumare barili di alcolici per sopravvivere. E poi cos’altro, l’assalto di Alì Blabla e dei Quaranta Mormoni?>>.
Idea niente male, ma fortunatamente per te no: avremo solo un altro arrivo, e stavolta non sarà di sesso maschile. Non che la cosa abbia per te la minima importanza.
Pervaso da un tremendo presentimento, non perdo tempo in ulteriori indugi, e mi inoltro in un mondo di spiegazioni che sono solo la punta dell’iceberg della mia angosciosa paranoia.
«Chiariamoci, Grande Vecchio: con “non sarà di sesso maschile” intendi per caso un altro grottesco separatore-di-acque-e-non-solo con sentimenti passivi e desideri ancora più passivi, oppure un vero essere femminile? Perché penso tu non conosca davvero il frutto della tua creazione: l’ultima volta che hai visto una donna da vicino nemmeno l’hai toccata tutta, ma solo una costola»
Boom, headshot! Vai così, bro! Mi verrebbe voglia di battermi il cinque da solo: questo è stato davvero un montante nelle parti basse, ammesso che ne avesse. Finalmente stavo riprendendo il controllo della situazione. O almeno, così credevo, all’epoca: lo vedo andare in una sorta di iperventilazione controllata, ma in un certo senso più acuta.
E per un istante faccio l’errore di considerarla un moto di debolezza.
FFFFH NYAAAAA FFFFFFFH AAAANGH FFFFFH AAAH!
«Fa male, eh, quando ti prendono sul vivo! Soffri! Soffri che ti fa bene!»
FFFFH NYAAAAA FFFFFFFH AAAANGH FFFFH AAAH! N-n-non è quello.
«E allora cos’è, eh? Non sarà mica che i tuoi divini zebedei non hanno mai conosciuto questa sensazione? Si chiama “scopata”, vostra Verginità Intonsa! »
E rido. Porco mondo, se rido. Illuso come al solito.
Perché tempo un istante e vedo che ride anche lui. Si sta spaccando dal ridere, letteralmente.
Ma io non smetto. Cazzo, non l’avrà questa soddisfazione.
«Pare proprio che a volte anche tu perda, Vecchio»
Hai quasi ragione, scricciolo. Scusami tanto, ma ero impegnato nella rievocazione di un ricordo particolarmente piacevole, e ho perso il senso della realtà. Dovrebbe essere familiare anche a te, era quello della terza notte di piacere della tua prima donna. La più intensa, in effetti: se non sbaglio la quarta non ha sortito l’effetto sperato.
«Tutte vaccate. Certo, non era sorridente come quando l’abbiamo fatto la terza volta, ma ha riconosciuto anche lei che non tutti nascono dei del sesso»
E poi le mie orecchie codificano per il cervello quanto ho appena visto.
E i miei lobi cerebrali mi tirano un coppino di quelli astrofisici.
«IO TI AMMAZZO, FIGLIO DI UN DIO MINORATO!!!»
Ed esattamente come pensi di poter vincere contro il Creatore? Io comando il tempo e lo spazio, tu a stento controlli il tuo istinto a non fartela addosso.
Bastardo. Immane, ciclopico, gargantuesco bastardo. Non cessa nemmeno per un attimo di provare piacere nell’umiliarmi e nell’avere perfino ragione nel farlo, ma non potrà vincere sempre.
Intanto mentalmente mi faccio cenno di chiamare Francesca per delucidazioni su quel sogno che aveva fatto la notte prima dell’evento.
All’epoca dei fatti non si era esattamente propensi ad usare la lingua per favellare.
Merda…
«I’M ON THE HIIIIIIIIIIGHWAY TO HELLLLL!»
Ma per il cazzo mummificato di Tutankhamon, e ora che succede?
Toh, parli del diavolo, dev’essere lei.
«Lei chi? Aspetta…mi hai cambiato pure il campanello ora! Era l’ultimo baluardo della mia apparente normalità, per non dire della mia sanità mentale! Che penserà la gente quando suonerà ora?»
Non preoccuparti, mio assillante grumo di carbonio: a parte quelli previsti non è che tu riceva molti ospiti comunque. E poi, c’è scritto “Suonare, per favore”. Tutto previsto.
»Tralasciamo per un istante la mia vita sociale. Mi stai dicendo che se sopra la luce ci fosse scritto “Sia la Luce” le lampadine trasformerebbero la notte in giorno e quelle cose lì?»
Più o meno è così.
<<Bene, magnifico. Ora la gente verrà a farmi domande su come mai il mio pianerottolo si trasforma nell’anticamera dei Campi Elisi senza ausilio di elettricità, e il perché questo avviene PREMENDO UN FOTTUTISSIMO INTERRUTTORE DAVANTI ALLA MIA FOTTUTISSIMA PORTA POPOLATA DA DEI FOTTUTI ANIMALI CHE CI COPULANO DAVANTI!!!»
Il silenzio si stende tra noi in orride spirali, mentre il buon vecchio Angus, al campanello, si sgola come non mai.
Hai decisamente qualche problema d’isteria incontrollata, scimmietta senza pelo. Comunque, la nostra ospite attende.
Tralascio il fatto che il mio vero problema è l’avere l’Altissimo come elettricista, pervaso da un leggero senso di scorno e di headbanging, mi dirigo alla porta e apro.
E vidi che era cosa buona.
Ora, immagino che abbiate imparato a conoscermi, e saprete ormai che sono un tipo prolisso, pieno di attenzione per i dettagli e per le specifiche del carattere di ogni personaggio che mi sia capitato di incontrare. Ma in questo caso specifico, e vi prego di non pensar male di me, la mia capacità di sintesi riassume quanto vidi innanzi a me in una semplice, solinga, magistrale parola.
Tette.
Lo so, sono un porco maschilista, e fidatevi, non ho mai amato tanto l’esserlo, perché l’essere davanti a me è un concentrato di femmina all’ennesima potenza.
Appena riesco a spostare di qualche millimetro le pupille dai suoi Grandi Cocomeri, colgo che anche il resto del sembiante non è male. L’ampio seno prosperoso, la cui perfetta sfericità farebbe venire dubbi persino a Keplero e a Newton sulle loro teorie, è fasciato da una camicetta a rete sottile, terminante in lunghe maniche al polso con polsini pizzo bianco, simili a biancospini. Sopra di essa, fasciante si snoda siccome pelle serpentina un corpetto di cuoio nero, circondato da nastri di raso e chiusure metalliche dorate. A coronare il tutto, pantaloni di pelle nera a sigaretta, talmente attillati da risultare quasi impossibile capire dove finisce la carne e inizia l’abito, visti gli ampi gambali col tacco in cui vanno ad infilarsi.
Come? Ah, sì, sì, giusto, il volto.
Scusate, ero come distratto.
Il viso è anche meglio: a forma di cuore, pallido con due pomelli rosso papavero sugli zigomi, e una cascata di boccoli rosso fuoco che incorniciano due occhi verdi. E le labbra…minchia, su labbra così ci moriresti un giorno sì e l’altro pure, e il rossetto color porpora non fa che rendere il tutto ancora meglio, abbinato com’è allo smalto in cui terminano le unghie sulle sue dita sottili e morbide.
Ehm…señor…? Mi farebbe entrare, por favor? La valigia pesa.
Fidatevi se vi dico che l’ho sentita parlare, ma al momento non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo, perso come sono nei suoi occhi.
Tutti e quattro.
Ma mi riprendo subito, nonostante una tale visione celestiale (aggettivo appropriato, direi) mi abbia tramutato in un cane di pavloviana memoria.
Bavetta di desiderio inclusa.
«Eh? Oh, sì, mi scusi, signorina. E, mi dica, con chi ho il piacere di tromb…eh, di parlare?»
Me llamo Teresa, Teresa de Ávila. Encantada. Està aquì Nostro Signore? Mi ha detto di avere qui i soldi e l’alloggio promesso.
Subitanea soggiunge la colpevolezza: e così, mentre Brignano si faceva fare la miscela Lavazza Oro, quel mattacchione di un creatore si trastullava con simili splendori. Anche solo pensare alla tariffa per un simile schianto mi fa girare la testa.
Niente pensieri impuri, perversa mammoletta caffeinomane. I soldi sono per un affare alle Isole Cayman: capita di sbagliare, gli tsunami non sono quello che si dice un fenomeno molto controllabile. E quindi gli ho offerto una vacanza.
Mi volgo verso l’infame, che pure sembra non aver aperto bocca: grazie al cielo ha avuto il buon gusto di usare la telepatia.
“È chiedere troppo un minimo di privacy almeno nei pensieri? E che cazzo, già sto facendo la figura del locandiere di second’ordine!”
<<Non farti problemi, cara. Entra pure, metti pure i bagagli in camera e usa il bagno come meglio credi. Quando hai finito ci vediamo in vagina…cucina»
Per mia fortuna, pare non capirmi, perché mi rivolge un lieve sorriso prima di dirigersi in camera.
Ha un paio di chiappe che non solo parlano, ma cantano e tengono comizi tali da scatenare i miei peggiori lapsus latenti.
Non è per te.
“PRIVACY, ho detto, Dio porcello!”
Vien da chiedersi se quel tipo riesca a dormire la notte.
E visto il tipo, vien quasi da augurarselo.

Stairway to heaven di mattoni gialli: Welcome to my Hell’s Kitchen


Bussai alla porta di Francesco con il mio futuro pranzo in mano, legato che sembrava uno di quegli esploratori da cartoon catturato dai cannibali, in cerca di una ricetta a cinque stelle in onore del pennuto che tanto mi aveva tormentato. E chi poteva saperla meglio di lui, che veniva dalla patria del salume assortito?
Bussai con forza.
<<Francé! Esci, che ti devo parlare!>>
Nessuno rispose. Riprovai.
<<Dai, Francé, mi serve un consiglio per una ricetta!>>
Niente, di nuovo; probabilmente si era fumato qualche sequoia e stava smaltendo a letto. Ma del resto, realizzai che forse non sarebbe stata una buona idea: lui con gli animali ci parlava, mica li cucinava.
Andai in cucina e legai il corvo in modo che non potesse muoversi sul bancone, mentre cercavo su Internet una ricetta all’altezza della mia vendetta; per mia sfortuna, le pietanze a base di gracule non sono così diffuse e apprezzate, quindi decisi di desistere, per il momento, e di darmi a una sana, genuina razione di pasta col tonno.
Lo so, erano le otto del mattino, ma la fame è fame, e la fame chimica è fame al cubo.
Il corvo poteva aspettare tempi migliori (in cui fossi stato più lucido, o meno affamato).
Molti avrebbero, al posto mio, pensato che sarebbe stato meglio dormire della grossa, ma io, come forse avrete capito, non sono molto sulla lunghezza d’azione dei ‘normali’; anzi, sapendo che i miei coinquilini ultraterreni ronfavano della grossa, mi balenò in mente un’idea per vendicarmi della trollata epocale subita il giorno prima dal Creatore di tutto ciò che riluce e dal Patriarca del lucidalabbra al glitter. Andai in camera e presi la mia chitarra con tanto di plettro, mi schiarii la gola (pentendomene all’istante…poco mancava che rifacessi l’impiantito a forza di sputi), attaccai il jack alla presa dell’amplificatore e con l’ispirazione del già citato Brandon Lee mandai una vibrazione tonante delle corde per poi intonare a tutto volume ‘O sole mio’ (lo so, è demenziale come cosa, e posso assicurarvi che, con la voce ancora roca dalle canne, l’effetto era come quello di Marco Carta che canta Highway to Hell).
La reazione fu quasi istantanea: avevo la faccia di Dio davanti agli occhi a meno di venti centimetri, e per un istante mi sentii come il soldato Cowboy davanti al Sergente Hartman. Ma visto che il sergente medesimo non aveva fettine di cetriolo sugli occhi per stimolare i pori dormienti, la mia prima reazione fu di scoppiare a ridergli davanti.
Son soddisfazioni.
<<Complimenti per il cosplay da insalata greca. Il verde ti dona molto>>
Mi trovi carino, soldato Palla di Latta? Ti sembro forse buffo?
<<Signorsì, certo, signore!>>
E giù nuovo assolo di chitarra. Con aria di sfida al grande capo.
<<Cosa intende farmi, signore? Cetriolarmi a morte?>>
Oh, molto meglio di questo, ragazzino…
Troppo tardi mi accorsi del modo in cui alternava lo sguardo tra me e le corde della chitarra, sorridendo. La lucidità non è il mio forte, come forse avrete intuito dai vari livelli diconsecutio temporum vagamente assimilati al flusso di coscienza, e la minaccia divenne lampante solo quando fu inevitabile.
Sai che sensazione si prova quando una corrente elettrica viene indotta attraverso un cavo di metallo?
<<Ma di che diamine…?>>
Non riuscii a finire l’affermazione che con uno schiocco si staccarono tutte e sei le corde della chitarra, animate di vita propria, e dirette come serpi elettrificate contro il dorso della mano che giaceva ancora a cavallo della travatura, e nel fatidico istante in cui le sei fruste di metallo vivo stavano per solcarmi il dorso e falciarmi tutti i punti di pressione come nella miglior tradizione della Scuola di Hokuto, non ebbi di meglio che pensare che anche se avessero mancato i punti di pressione la scarica mi avrebbe minimo messo K.O. per qualche minuto, e che io ero là come un cretino a pensare a quanto avrebbe fatto male in questa patetica imitazione di flusso di coscienza, e Joyce non mi era mai nemmeno piaciuto…
SBRANG!!
Rotolai sul pavimento, agonizzante e vagamente sfrigolato, mentre la mano si arrossava da matti e assistevo al ritorno alla normalità del cadavere della mia chitarra. Il corvo, dal canto suo, mi fissava imballato ma incuriosito, gracchiando sommessamente, quasi ridesse. O magari ero io che me lo immaginavo così, nel delirio da elettroni selvaggi che mi cavalcavano ancora lungo il braccio.
Più o meno questa sensazione.
<<Ti venisse la diarrea a spruzzo, ignobile lattuga divina!!!>>
Non preoccuparti, San Tana dei bassi fondi, la mano tornerà come prima nel giro di qualche minuto. Altrimenti, come potresti cucinare?
<<Anche questo, ora??? Chi diavolo credi di essere, una statuetta di Ganesh? Un fottutissimo jizo?>>
Se non tu, chi allora? Sii ragionevole, anche se so che è difficile.
<<Mai sentito il proverbio ‘chi fa da sé, fa per tre’? Ecco, visto che tu sei uno e trino, fatti una cotoletta e non rompere i coglioni!>>
Che caratterino. Nemmeno avessi fatto chissà che. Va bene lo stesso, tanto da oggi non dovrebbero esserci problemi.
<<E questo cosa vorrebbe dire, Grande Lattuga Celeste?>>
Mi rendo pienamente conto che all’epoca non fui molto gentile con il Supremo Architetto dell’Universo, ma soffrivo da cani. E poi aveva ancora un cetriolo su quella specie di occhio a triangolo che portava sulla testa, non ho saputo resistere.
Vedo che la punizione non ti ha tolto la voglia di parlare a sproposito. Ma per stavolta ti perdono, visto che è un giorno di festa.
Mi rimisi a sedere a fatica, guardando la mano che si risanava a vista d’occhio, immagino per merito di quel divino infame che mi sovrastava.
<<Perché hai distrutto un metacarpo e una Fender seminuova? Hai ragione, c’è da esserne fieri!>>
E rise, con quel suo modo che mi dava tremendamente fastidio.
No, mio piccolo formichino. Oggi arriva un nuovo ospite! Contento?
<<Minchia! Contentissimo! Già che ci sei perché non mi crocifiggi fuori dalla porta e fai usare le mie palle come batacchio?>>
Sai che come idea non è male? Ci penserò.
Nel mentre, sentii l’odiosissimo, nefasto rumore del campanello. Ma da bravo padrone di casa mi alzai e andai ad aprire, sperando inconsciamente nell’arrivo della troupe di “Scherzi aParte” a porre fine all’incubo, ma con l’inconscio settato al livello zero del mio possibilitometro. L’ottimismo non era dalla mia.
Guardai la maniglia, per la seconda volta da quando era arrivato Francesco, e mi risaltò la solita menata sull’utilità delle maniglie ecc. ecc. che vi risparmio perché io sono misericordioso (non come certi tipi che lasciamo perdere) e aprii.
Le mie speranze che fosse tutto uno scherzo si svamparono nell’immagine stagliata contro la soglia di un uomo piuttosto alto, con un tatuaggio appena visibile sulla base del collo (“Non coerceri maximo, contineri minimo, divinum est”), Rayban in bella vista e buste della spesa come se piovesse appese ai massicci avambracci. A completare il quadro, un sigaro Avana acceso tenuto a lato della bocca, ruminato con decisione, e muscoli così tonici che a Johnny Bravo si sarebbe ammosciato il ciuffo e sarebbe sorta la voglia di darsi al monachesimo. Sulla canotta bianca campeggiava il messaggio a lettere gotiche nere “Jesuits do it better”, e i pantaloni a vita bassa sembravano appesantiti per qualcosa di non visibile, al momento.
Sembrava una sorta di CJ, quello di Grand Theft Auto, per intenderci, non fosse che l’accento ispanico che tirò fuori quando mi salutò. Molto poco messicano, molto più iberico.
Hola, muchacho. Y così tu saresti Salvador, l’ospitante de las almas divinas. Piacere di conoscèrti, yo soy Ignacio, quello di Loyola.
Gli strinsi la mano, interdetto ma comunque più contento del solito. In primis, perché almeno era arrivato con la spesa. E poi, sembrava un tipo a posto, anche se c’era ancora qualcosa che non mi convinceva.
Gira voce su nelle alte sfere che basta presentarsi in questo posto, e si ha ospidalidad. Sei un duro, amigo, me gusta como piensas.
Nel mentre, lo vidi poggiare le buste sul tavolo della cucina e tornare a chiudere la porta.
<<Ehm, non per dire, ma non è proprio così, signor Igna…>>
Non feci in tempo a finire la frase, che subito capii quale oggetto gli appesantiva i pantaloni, e me lo ritrovai puntato a meno di un centimetro dal naso. Lo sguardo di Ignazio si era fatto tremendamente serio.
Oh, niente ‘senor Ignacio’ o cazzate varie. Chiamami zio, se proprio devi, ma non ‘signore’. Mi dà di vecchio.
Detto questo sorrise, alquanto inquietantemente, e rimise la sua P38 nei pantaloni. Io di mio deglutii, cercando di non pisciarmi addosso.
Capii in un istante che non sarebbe andato via. Non so perché, ma certi segnali impercettibili mi diedero questa impressione. E chi ero io per distruggere le speranze di un bravo ragazzo, in fondo?
Donde està la cocina?
<<La ‘cosina’?>>
Seguro…dove si cucina la roba…
<<Ah, la cucina! Là in fondo, perché?>>
Bueno! Allora voy a cucinar para todos!
Lo vidi dirigersi bel bello in cucina, con Shalomm che osservava le natiche di lui con interesse crescente.
Dopotutto era un bravo ragazzo…o almeno, si sperava.
Capii cosa intendeva Dio quando lo vidi all’opera ai fornelli: sembrava che impugnare uno schiacciapatate o una rivoltella fosse lo stesso per lui. E per non farlo sentire spaesato ed essere amichevole mi diressi ad aiutarlo.
<<Vuoi una mano?>>
No, gracias, me encanta cucinare! E poi, mi stai ospitando, è il minimo che possa fare para ti, Capo.
<<Dai, non serve chiamarmi Capo…! Stai già facendo abbastanza senza essere così servile. Grazie comunque>> aggiunsi subito, nel timore che la parola ‘servile’ gli facesse di nuovo prudere le mani.
In verità, farmi chiamare “Capo” da un santo che aveva fondato uno degli ordini monastici più potenti del mondo sarebbe stato fico, ma non mi andava di fare il prepotente in quel modo.
Non ero mica Dio.
Olé! Està pronto! A tavola!
Per l’occasione aveva preparato un piatto non propriamente della cucina ispanica, cosa per cui apprezzai infinitamente i suoi sforzi: ratatouille. L’aroma era delizioso, e i pomodori erano stati cotti alla perfezione, e guarnita con un dispiegamento di crostini davvero sfarzoso.
Gli altri mi guardarono, attendendo che mi servissi. Feci l’errore di considerare questo come un segno di cortesia.
Mi sbagliavo. Ancora una volta.
Mai giudicare un libro dalla copertina, o un santo dalle sue buone maniere.
Per tutta la durata del pranzo, sorrisi e mi servii, tenendo sempre da parte una bottiglia d’acqua da cui mi servii con nonchalance. Poi, appena i ‘ragazzi’ furono liberi, mi addentrai nel bagno con un viso serafico, chiusi la porta a chiave e vomitai a raffica nel lavandino.
Non fraintendetemi, era buonissima, ma piuttosto che “ratatouille con sale e crostini” avrebbero dovuto chiamare il piatto “sale con ratatouille e crostini”.
E come tocco finale, quando cercai di sciacquarmi la bocca e il viso, sentii una sorta di presa appiccicosa sulle mani, e un liquido ambrato tra i palmi.
Sospirai, ringhiando rabbioso.
<<Tequila…maledetto bastardo…>>
Quell’essere aveva davvero un senso dell’umorismo grottesco…


                                                                                                             (c)Sigmund&Fafnir

Stairway to heaven di mattoni gialli: Intrallazzi e uccellini


Tanto per cambiare, il mio cervello deragliava pericolosamente verso dilemmi esistenziali. “E che palle“ già vi sento bisbigliare, miei fedeli lettori, e lo capisco, ma abbiate pietà: ero anche vittima da una testata alla testiera (scusate il gioco di parole, potrebbe essere un danno collaterale – o il principio di un ictus, una delle due). E siccome non ci si è fatti mancare nulla, ecco il mio nuovo coinquilino entrarmi in camera.

Oh, ci manca solo che mi offra una canna.
…me la offre.
Porco piercing, San Francesco, San Francesco in persona mi sta offrendo una canna!
E chi sono io per rifiutare? Non sarebbe dovere da buon cristiano. Alé!
Dopo aver consumato quel piccolo cilindro di paradiso della Maria (e visto chi mi ritrovo in casa, mai appellativo fu più appropriato di così), mi ritrovai a scherzare con il nuovo arrivato, che si rivelò, vuoi per le canne, vuoi per il confronto forzato con i suoi predecessori, molto gradevole, tanto che presi anche a giocare con i suoi animaletti (certo, ho quasi dato un morso a Norcia, la maialina timida, ma ero in fase di smaltimento da fame chimica), e parlando del più e del meno alla fine anche Francesco mi rivelo i guai che l’avevano spinto fin sulla porta di casa mia. La DDIGOS (no, non è un errore di stampa, la D extra sta per “Divina”. Anche lì hanno poca fantasia) gli stava alle costole, rendendo la sua vita gradevole come un risveglio dal sonno dei giusti sulle note di Marco Masini.
Parole sue, eh.
Certo che questi santi semiseri hanno un umorismo davvero strambo: di quelli che ti strappano una risata a mezza bocca e uno spintone a mezza spalla, arguto e stupido nello stesso tempo. Io intanto continuo a dargli corda, interessato a come e cosa possa ricercare la Divisione Divina Investigazioni Generali e Operazioni Speciali.
<<Ma che avevi combinato di così grave?>>
Ma niente, le solite cose. Sai, in paradiso abbiamo una pletora di leggi non scritte per questo genere di cose. Un po’ come quelle italiane: contraddittorie, senza senso, e ridondanti. E naturalmente tra queste c’è appunto l'illegalità della marijuana…tsk! Come se non avessi visto degenerare tante di quelle messe per un’ostia al vino di troppo…insomma, ne avevo comprato solo un paio d’etti, roba da niente, e si sono messi a starmi alle costole. Quindi ho preferito cambiare ambiente per un pò.
<<Altro che vacanza...beh, almeno tu sei meno frivolo degli altri due>>
Beh, per essere un santabbestia, se non altro è una persona a posto. Poi però mi sovvenne un dubbio.
<<Ma scusa, le leggi chi le fa?>>
Eh…vedi, qui la cosa si fa un po’ incresciosa. Dopo un sacco di brogli burocratici, congiunture, riunioni dei sindacati…beh, per fartela breve, hanno sbolognato il tutto a San Pietro. E’ lui il capoccia esecutivo, adesso, anche se da noi si continua ancora a chiamarlo “Primo Santissimo Detentore del Cancello Celeste”. Alcuni lo chiamano “Vicepresidente Junior Executive”, ma per il momento la tradizione prevale.
<<Woh! Non oso immaginare chi sia il capo della Polizia…>>
Eh…è Giuda.
Poco mancò che ingoiassi la canna dalla sorpresa. Tossicchiando, lo guardai stralunato.
<<QUEL Giuda??? Ma…ma…>>
Lo so, lo so, non me ne parlare. Dopo i suoi ‘spiacevoli trascorsi’ si è pentito ed è diventato collaboratore delle procure angeliche. Non ti dico quanti ne ha mandati all’Inferno al posto suo. Poi si è avvalso del rito abbreviato, del patteggiamento, delle lungaggini giuridiche…per farla breve, dopo neanche mezzo secolo di carcere è uscito, ed ora comanda la DDIGOS. Bell’affare, eh?
Proprio bellissimo…questo esplicitava tutto. Del resto, lo dicevano anche gli antichi: “Come in cielo, così in terra”.
‘tacci loro…
Dopo esserci salutati in amicizia, rimasi solo nella stanza a guardare il vuoto e a pensare al passato, alle mie azioni, e man mano mi estraniai verso argomenti più lontani nello spazio e nel tempo: la fine della storia tra Belen e Corona, gli universi paralleli, la pasta al sugo di mia nonna Miriam, cosa stesse facendo adesso zio Reginaldo de “Gli Aristogatti”.
Roba seria, per intenderci.
E propio mentre la corrente dei miei pensieri diventava ruscello dove adagiare il mio riposo, sentii picchiettare al vetro della mia finesta. All'inizio non diedi peso a quei battiti sul vetro, convinto che fosse un ramo che puntualmente mi scartavetrava i maroni scosso dal vento – da notare, contro la finestra appena ripulita -  sbattendo gli aghi da pino sul vetro; come se già non gli bastasse lastricare l’esterno e infilarsi dentro i sandali ogniqualvolta si va in riviera. Dopo aver imprecato contro il tempo e il mal di testa semiciclopico che mi stava venendo dopo la canna, mi alzai e andai alla finestra per suffragare la mia teoria su cosa stesse disturbando il mio riposo. A parte ovviamente la volontà del Padreterno e dei suoi accoliti di sfuggire ai Celesti Protocolli.
Ma quello che trovai non fu il ramo che mi aspettavo.
Per niente.

Era un corvo, un bell’esemplare di una ventina di centimetri, in penne e ossa e con due tondi occhi violetti, che mi guardò di traverso mentre scostavo la tenda. Non sembrò impaurito, o sorpreso, quanto piuttosto ancora più determinato a mostrare di voler entrare in casa.
Per uno come me, nato e cresciuto nella città, già di per suo vedere qualunque volatile più grosso di un fringuello era un evento, ma un corvo vivo e vegeto, e per giunta così testardo, era decisamente una novità per me; quindi, dopo lunghi minuti in cui lui mi scrutava picchiettando sul vetro e io lo studiavo pensando a quanto era figo quell'assolo di chitarra elettrica sul tetto da parte del buon vecchio Brandon Lee, compii una buon’azione e dischiusi le ante, permettendogli l’accesso.
Con un paio di svolazzi neri, il corvo salì con precisione e grazia proprio sull’armadio giallo, fulcro, centro e origine di ogni mia sventura, e si appollaiò lì, fissando il mio letto.
(S)fatto com’ero, la cosa non mi inquietò, anzi mi divertì, e dal canto mio mi distesi semplicemente sul materasso, degnandolo dello stesso blando interesse.
Cominciando a guardarlo, realizzai l’assurdità cromatica che avevo davanti: un armadio giallo con dentro uno straccio marrone, sopra un corvo nero con gli occhi violetti, il tutto in una stanza color latte e menta. Ci mancava solo che in sottofondo ci fosse “In the garden of Eden” degli Iron Butterfly per completare il quadretto. Con lieve e sospirata costernazione constatai che di dormire non se ne parlava, quindi, nel mio stato allucinato, feci l’unica cosa possibile: cominciai a conversare col pennuto.
            <<Ciao>>
Il corvo si gonfiò nel piumaggio, continuando a guardarmi col capo inclinato, e poi, lentamente, aprì il suo nero, affilato becco ricurvo e…
            Crah!
Beh, che vi aspettavate che dicesse, la messa cantata? Era pur sempre un corvo, e meno indiscreto dei miei ultimi interlocutori, se non altro. Quindi, decisi di svuotarmi lo spirito con lui: se non altro non avrebbe avuto nulla da aggiungere per rendermi più amaro questo calice.
…mi sbagliavo…
quanto mi sbagliavo…
<<Sai…ho sempre voluto che nella mia vita ci fosse più movimento. Ero un fan dei thriller mistici, tipo quelli di Dan Brown, sai. Eeeee…a volte - è un pò imbarazzante - mi sono immaginato come Robert Langdon, a vedermela con misteri ancestrali e verità scomode. Beh, di quelle ne ho trovate pure troppe…e speravo che non si finisse a gestire un bed&breakfast per santi da calendario. A volte mi chiedo…se con questo casino riuscirò a trovare una donna che mi amo…come il mio primo amore…>>
Mai più.
Minchia, quanto ho sobbalzato. Ho visto il soffitto avvicinarsi pericolosamente. O almeno, spero che quello fosse per il sobbalzo. Con tanto d’occhio, torno a scrutare il corvo, sempre lì fermo.
Mai più.
E qui, un florilegio di pensieri esce percolando dalla mia corteccia cerebrale.
·         Sto parlando a un corvo: sono impazzito.
·         Sto parlando a un corvo: diventerò famoso!
·         Sto parlando a un corvo: la canna ancora deve smaltire.

Mai più.
Certo che dopo un po’ ha cominciato col divenir seccante, la cosa. Già la mia vita sentimentale non è granché, se poi ci si mettono anche dei volatili allanpoeiani iettatori a buttare il carico a spade, è il caso che intervenga in difesa del mio buon nome.
Minchia, se penso bene, da alterato.
<<Ehi, mister Gracchio! Piantala con questo ‘mai più’! La mia ex non si chiamava Lenore, e non siamo in una pessima novella dell’orrore. Quindi dacci un taglio!>>
Silenzio, e poi…
Mai più.
Ma che pezzo di stronzo
<<Ancora continui, sottospecie di spazzino monocromatico? O pensi di essere in vantaggio solo per l’accostamento di colore grottesco? Nemmeno sei capace di cacciare prede tue e ti permetti di criticare come ‘caccio’ io? Ah! Campo da ben prima di te, ho vinto dispute verbali molto più complesse di questa, e sono di almeno tre gradini più in alto nella gerarchia animale! Come la metti adesso, mangia carogne?>>
Avevo toccato il fondo. Mi stavo coprendo di glorie più o meno spudorate sulla mia nascita e dinastia con un miserabile pennuto, che magari quelle parole le aveva sentite dal suo padrone, un fissato di racconti del terrore, o cacchiate simili.
Il corvo dal cantò suo prese a fissarmi senza spiccicar parola, con una strana luce nello sguardo; all'inizio non capivo di che sentimento si trattasse, ed ero quasi terrorizzato all’idea che calasse giù e mi cavasse gli occhi.
Poi me ne resi conto.
Pietà.
Un corvo mi stava guardando con pietà
Nel mio animo sprizzarono con la potenza di un geyser rabbia e vergogna, che furono seguite subito da freddezza e negazione. Non era successo niente, il corvo non aveva parlato e io non gli avevo confidato i miei dispiaceri in una notte di pioggia.

Quasi quasi me lo mangio.
Nah, troppi parassiti.
Chiederò a Francesco cosa fare, dopotutto l’esperto è lui.

                                                                                             (c) Sigmund&Fafnir 

Dialogo di un dendrofilo e il suo compare


 Ecco una discussione tra me (Sigmind-cartello) e Fafnir (cameramen). Una discussione per far capire che fleshati lo siamo davvero.
 
 
Oggi
weeeee belvaaa
cm te la passi'
martoriata
addirittura
che è successo?
attacchi di panico
cm mai?
che ti ha impanicato?
la concomitanza di tutti questi eventi che mi girano intorno
diciamo solo che marzo come mese non è stato così buono con me
capita a tutti e capita + spesso a chi è consapevole di cosa accade intorno a se
brutta bestia la semionniscienza nel tuo mondo...
già ma anche di grandissima piacevolezza
chi è in grado di vedere e di sentire intorno a se è anche in grado di trovare nelle piccole cose bellezza e singolarità
il punto è che la bellezza e la singolarità sono il meno di ogni cosa
ma hanno più forza del tutto e più luce della mediocrità
non se il tutto è mediocre
ma nel tutto cè l'uno sta solo alle persone cn uno spiccato senso della realtà individuarlo
è questo il punto, non ho uno spiccato senso della realtà xD
beh il pazzo è quello che vede nell'albero le radici, il tronco, le foglie, e gli insetti oppure è quello che vede solo un albero? 
il pazzo è quello che all'albero ci parla sperando che gli risponda
beh se nn ha la fortuna di trovare un altro pazzo che la vede cm lui nn potra fare altro che parlare con gli alberi della foresta
al momento, almeno
al momento

Monologo 1: La musica


Avete mai provato ad ascoltare la musica? Non intendo l’house o qualsivoglia musica proveniente da strumenti elettronici, dico la musica suonata da un piano, da un violino, o altri strumenti che per padroneggiarli richiedono anni d’esperienza e di pratica.

La musica, potrei definirla anche un elemento della natura, capace di farti chiudere gli occhi e farti lasciare trasportare in una culla di sensazioni e emozioni. Ogni nota è creata con l’attenzione di uno scultore che intaglia il legno della percezione, tagliando, accelerando, lisciando e dando all’opera un’indistinguibile bellezza percepita solo da chi chiude gli occhi e guarda. Guardare a occhi chiusi, guardare oltre, immaginare le note ballare davanti a te, rendendole quasi palpabili. Avete mai provato ad ascoltare ad esempio yann tiersen mentre camminate per la città? Fatelo. Ascoltate musica con la consapevolezza del mondo che vi circonda, le foglie che cadono, la fila di formiche sull’asfalto, il vento, e i raggi del sole si mischieranno in un connubio di sensazioni. Ascoltare non udire, sentire non registrare.




                                                                                                       (c) Sigmund

Stairway to heaven di mattoni gialli: Epifanie e ipoplasie



Ed eccola lì: solitaria nella notte va, se la incontri gran paura fa, il suo volto ha la maschera.
Tigre?
No, sfiga.
E sfiga karmica, per giunta. E scommetto che ora mi guarda, scruta con aria di vittoria la mia nuova sconfitta(per quanto possa scrutare una concomitanza cosmica di eventi personificata dal mio stato attuale di vittima delle circostanze), con un ghigno a mezza bocca.  E pare quasi che il buio si chiuda zoomando in un quadrato sulla mia testa, in pieno flashback alla “Holly&Benji”. Ricordai all’istante quello che mi aveva accennato il Creatore, quel commento sulla consapevolezza dell’inutilità del mio gesto, e maledicendomi mi dissi che forse dovevo ascoltarlo, forse così non me la sarei presa tanto.
Crisi spirituale a parte, ci fu almeno un aspetto ‘positivo’ nella vicenda: mi ricordò qual era il posto della realtà e quella dell’immaginazione; se infatti nei flashback del cartone non succede nulla, e il tempo pare imballarsi per poi riprendere, come se un invisibile giocatore ripigiasse ‘Play’ dopo essere andato a cambiare l’acqua al pipistrello, in quelli reali si rischia di non passare inosservati da parte sia della ragazza che si ha davanti, che di tutti gli astanti che ti circondano. Vuoi per l’essermi bloccato all’improvviso nel bel mezzo della discussione, vuoi per il leggero rivolo di bavetta che mi scende dalla bocca.
Cosa che né a Oliver Hutton né a Benji Price sarebbe mai accaduta.
Beh, forse a Bruce Harper sì.
<<Ehi, tutto a posto?>>
<<Eh…? Oh, sì…sì, sì, scusa, è che mi era venuto in mente un pensiero…>>
<<E hai la mania di sbavare mentre pensi?>>
<<No! No, no, no! È stato un caso! Beh, si è fatto tardi. Ci becchiamo in giro, eh!>>
E me ne andai col sorriso. Da ebete, ma pur sempre un sorriso; urgeva un discorsetto con l’Altissimo quanto prima. Quel diavolo d’un Dio si stava divertendo, e parecchio anche, a creare illusioni dinanzi ai miei occhi per il solo gusto di disintegrarmele l'attimo dopo.
Così non vale.
Tornai a casa incazzato come un castoro a cui rompono la diga, e mai la soglia del mio appartamento aveva sentito tante volgarità mentre mi dirigevo a passi decisi verso la mia camera. Non che ci fosse nulla di male nel fatto che lei fosse cattolica praticante, intendiamoci: ognuno è libero di impiccarsi come vuole, e che la corda sia di canapa o di seta, la differenza è poca.
Il vero problema della questione era che avevo un dio, anzi, il Dio in casa, il che mi privava di qualsivoglia possibilità non solo di portarla in casa per provarci (se mai avesse voluto starci: il cattolicesimo è alquanto rognoso in quel senso, ed è paradossale per una religione imperniata sul ‘Crescete e moltiplicatevi’), ma anche di raccontarle una minima traccia dei miei vissuti recenti, non ultima la maratona di film di Naruto vista appeso sul soffitto (e l’odore di brandy sparso per casa non aiutava a restare lucidi). Pensai ancora a quella povera ragazza, e scrollai le spalle sospirando: fosse venuta a conoscenza che il Dio delle sue preghiere era l’incrocio malriuscito tra Dorian Gray e James Dean, credo che nel migliore dei casi le sarebbe venuto un colpo.
Nel peggiore, lo avrebbe limonato. Rapprividii al solo pensiero.
Giunto in camera, aprii l’anta del Karmadio (come avevo ribattezzato provvisoriamente il mobile interdimensionale) per vedere se Gandalf il Bianco era tornato, ma trovai solo il solito straccetto logoro. Lo richiusi con una sensazione indefinita in corpo e mi diressi in cucina, dove la mia incazzatura sbollì sostituita dalla fame atavica che ogni studente fuori sede incontra almeno una volta alla settimana (nella fattispecie, ciò avviene quando non ha fatto la spesa e manca mezz’ora alla chiusura dei negozi…indovinate per merito di chi? Bravi…) e notai un bigliettino caduto sul pavimento. Me ne accorsi solo perché cercavo le carote nel cassetto del frigo: tendenzialmente, evito di guardare il pavimento per non farmi prendere dallo scrupolo di pulirlo; se poi consideriamo che ero reduce da una pulizia piuttosto approfondita dello stesso, la mia volontà di fare il bis era scesa sotto lo zero.
Ad ogni buon conto, raccolsi il biglietto e lo lessi: era il padrone di casa, riconoscibile per la grafia da medico della mutua (e in quanto tale illeggibile), che mi ricordava che il 23 e il 24 p.p.v.v. sarebbero arrivati i due nuovi coinquilini. Quel giorno era proprio il 23, quindi con le mie capacità deduttive capii che almeno uno di loro stava per arrivare. Bene, almeno non avrebbe dovuto fare i conti con epifanie mistiche appena entrato dalla porta. Il mio timore, però, era che arrivasse un altro strambo al pari di Shalomm, e già sapevo che non avrei potuto sopportarlo senza dover cambiare nome in Norman Bates. Passai mezz’ora a girarmi i pollici, e proprio quando stavo per rinunciare e tornare a procacciarmi qualcosa di commestibile, suonò il campanello.
Mi fermai davanti alla porta, immobile, cominciando a immaginare come potesse essere il nuovo coinquilino, se fosse alto o basso, brutto o bello, idiota o intellettuale, socievole o psicotico, un santo, un drago, un hobbit, un leghista, o qualche altra mostruosa creatura mitologica. Ero preparato perfino a Freddie Mercury in tenuta casalinga e aspirapolvere che entrava cantando “I want to break free” nel momento in cui aprivo la porta.
In effetti, quei pochi minuti di convivenza con Shalomm mi avevano stravolto non poco.
Poi, per qualche strana ragione, mi misi a guardare la maniglia. La fissavo, e fissandola cominciai a pensare (ecco, già vi sento sbuffare “È tornato il filosofo”: e vi darei anche ragione, ma io vi avevo avvertito) a quanto le maniglie fossero importanti per gli esseri umani: come importanza, direi che erano alla pari con molte invenzioni umane basilari, tipo la ruota, la carta igienica, o i profilattici al gusto frutta. Per certi versi, anche più importante.
Riflettiamoci un attimo: la ruota ha solo una funzione, girare, e se ha cambiato così drasticamente il nostro modo di fare è perché in realtà è il mondo che è cambiato per stare al suo passo; le maniglie invece  sono un’invenzione ragionata, quasi estrosa, tale da permetterti non solo di uscire o entrare, o far uscire e entrare persone, animali e oggetti, ma anche occasioni e speranze, gioia e felicità, tali da migliorare o rovinare la tua vita col solo muoverla, ma anche di isolarci, di proteggerci, di tagliare fuori le cose spiacevoli, garantendo sia la sanità mentale che quella fisica.
Mi sa che le tubature si erano rotte di nuovo.
Aprii la porta.
Prima ancora degli occhi, fu il mio naso a percepire il nuovo arrivato: un tanfo dolciastro che avevo imparato a conoscere dalle innumerevoli domeniche allo stadio con mio padre. Poi toccò alle orecchie: un grugnito, di quelli che ti portano alla mente scene di taverne in riva al mare e atmosfere piratesche. Quindi, gli occhi.
C’era un uomo davanti a me, vestito di pantaloni larghi di lino beige, maglia verde ad ombrello sul magro torace, cappello di lana coi colori giamaicani, una campanella al polso, e in bocca il marchio distintivo di ogni rastafariano che si rispetti: uno spinello travestito da sigaretta rollata, acceso da poco. Ma la cosa anormale di quell’apparizione (come se ci fosse qualcosa di normale, poi…) erano le amabili bestiole che quel Bob Marley ossigenato si portava appresso: un maiale dall’aria timida che stava accanto alla sua caviglia, un lupacchiotto dall’altro lato che si grattava un orecchio con la zampa per poi leccarsi l’inguine, e un’aquila che mi fissava truce dalla sua spalla.
Bella, fraté. Io so’ Francesco. Che c’è per cena?
In quel momento il mio omino del cervello si lasciò cadere sulla poltrona del cervello mettendosi le mani in faccia e mormorando: “Oh, no…!”. Lo strano accento, che identificai come umbro, gli occhi azzurri e la presenza di quegli animali mi avevano messo all’erta. E in un solo istante capii che la mia vita non sarebbe mai più tornata come prima.
Perché quel tizio lì, sicuro come l’oro, era Francesco di Bernardone, alias San Francesco, meglio noto come “l’uomo che sussurrava ai fringuelli”.
E da ben prima di Del Piero.
Ero annichilito e sconfortato, e non trovai di meglio da fare che balbettargli il mio nome e invitarlo a entrare. Tornai in cucina, ansioso di farmi un bicchiere d’acqua di rubinetto per placarmi i nervi. Ma dopo averlo riempito e buttato giù in un colpo, ecco che la sensazione bruciante lungo l’esofago mi riporta alla realtà miseranda della mia esistenza. Questo perché:
      1)la mia vita era diventata un autentico macello, piena com’era di santi e di patriarchi biblici;
      2)sul divano della cucina era tornata la strana coppia a guardarmi sghignazzando;
   3)avevo appena ingollato 23cc di gin fizz, prova inequivocabile del mio sospetto che le tubature si fossero fottute ancora.
Quindi, decisi dentro me di accettare la situazione, almeno per il momento, e che fosse per il mio essere stremato nella lotta contro quel mostro ultraterreno, o per la mia scarsa attitudine al cambiamento, o per la sbornia imprevista e impellente, mi diressi strisciando in camera mia e mi addormentai di botto sul materasso. Ovviamente, però, prima detti una capata allucinante alla testiera di legno del letto, di cui sentii le conseguenze la mattina dopo al mio risveglio.
Tutto era tornato normale.
Va da sé che comunque ‘normale’ ora è solo un mero termine speculativo, avendo la ‘normalità’ abbandonato la mia vita da un bel pezzo.
Se mai ci aveva soggiornato.




                                                                                       (c) Sigmund&Fafnir