sabato 4 maggio 2013

Stairway to heaven di mattoni gialli: Io credo nelle fate…?



Ed eccoci qua. Dopo aver dato una pulita agli ultimi rigagnoli di vodka e daiquiri sparsi per la cucina, e dopo essermi ripreso dall’agghiacciante scoperta che la lavatrice perdeva (ora tutti i vestiti odoravano di Baileys e Grand Marnier) ci sediamo tutti e tre intorno al nostro tavolinetto di marmo.
<<Allora, vi ho convocati qui per fare un discorso di chiarimento, in modo che non ci siano più fraintendimenti>>.
Sono tutto orecchie, ciccino bello.
Trattengo a stento un conato e una smorfia orripilata prima di proseguire.
<<Innanzitutto, preciso per tutti gli addetti ai lavori che io NON sono gay, non intendo diventarlo e, cosa fondamentale, nulla potrà farmi apprezzare l’idea di essere sodomizzato da serpenti rosa, veri o presunti che siano, e men che meno da checce ultramillenarie strafatte di champagne>>.
Lanciai un’occhiata di fuoco verso Shalomm, il cui sorriso si spense in un barlume di colpevolezza, ristagnando in una pozzanghera di dispiacere, mentre il suo capo si chinava.
Feci una pausa, rivolgendomi poi all’altro mio “ospite”, per porgli la domanda che più delle altre mi stava a cuore.
<<Inoltre, mi piacerebbe tanto sapere nel dettaglio che cosa volete da me. Cosa vi aspettate che faccia, di preciso?>>
Lo so, l’avevo già chiesto, ma all’epoca dei fatti era la forma a non soddisfarmi: era più un qualcosa da ‘a tu per tu’, e si sa che Dio non è proprio il massimo della loquacità, in quanto a intenzioni e cogitamenti di sorta. E poi, usare il ‘voi’ aveva la duplice funzione di suonare di cortesia al suo orecchio, e nel contempo di stimolare, qualora ce ne fosse bisogno, il suo senso di espansività: non ero sicuro che quella ‘vacanzetta’ fosse tutta farina del suo sacco. Per quanto naturalmente egli fosse il Supremo, l’Altissimo, ecc. ecc. e quindi capacissimo di fare tutto di testa sua, l’imbeccata aveva comunque potuto averla da qualcuno.
Voglio dire, di scommesse col Demonio è piena la letteratura.
Vedi, creatura di dubbia utilità…
Ecco, sempre con questi insulti gratuiti. Prima o poi gli piazzo un cazzotto in uno stomaco.
…nel regno del Paradiso siamo per così dire “costretti” a dare il buon esempio.
E ci mancherebbe altro. Che diamine, allora l’Inferno a che cazzo serve?
Questo ha portato alle nostre divine membra un carico di stress insopportabile. Io volevo bere, ruttare e scoreggiare quando mi pareva, ma non potevo.
Qui dovetti trattenermi dal ridere al pensiero dell’eco di digestioni e flatulenze celestiali, in primis perché mi immaginavo come sarebbero stati gli spot della Lavazza con quel sottofondo. Mentalmente, pensai che Bonolis fosse un uomo fortunato, per non aver mai saputo queste verità scomode.
Per quanto riguarda il mio amico, qui…era costretto a una ben più atroce frustrazione. Tutta l’eternità a farsi le unghie di nascosto e chiedere a se stesso se gli stavano bene, rispondendosi tutte le volte che era bellissima, poveraccio. E ha persino dovuto tenere il suo amore per re Artù nascosto come le sue fantasie su tutti i membri della Tavola Rotonda.
Qui la cosa mi prese leggermente di sorpresa, e mi volsi a guardare Shalomm, che di suo si era stretto nelle spalle, armeggiando con il suo smartphone. Mi guardò di sfuggita, con gli occhi umidi, e asciugandosi un paio di accenni di lacrima.
Una ragazza avrà anche il diritto di sognare, no?
Certo, certo…ricordati di restituirgli il bastone da passeggio, quando torni. Pulito, mi raccomando.
Mi ci volle un solo istante per capire il senso di quella frase sibillina. E l’istante successivo me ne pentii amaramente.
Ma nonostante la libido straripante del mio ospite, cominciavo a provare per lui anche un po’ di pena. Cavoli, quell’uomo grande e grosso era riuscito ad aprire le acque del Mar Rosso per permettere la fuga al suo popolo; certo, ora era passato dall’aprire le acque all’aprire le gambe, nondimeno quanto aveva fatto era degno di nota. Poi mi riscossi, tornando a parlare con il suo “principale”.
<<Scusa,ed io, allora? La mia dose di pietà quando arriva? Le porcate che vorreste fare e non potete non mi interessano! Diamine! Non mi hai mai aiutato! Perché io ora dovrei? Dov’eri nel momento in cui ho comprato dieci buste di carte dei Pokemon e non ho trovato neanche un Charizard? Dov’eri quando giocavo al WinForLife e non vincevo mai? Dov’eri quando ho preso un punteggio basso all’esame, e per un SOLO FOTTUTISSIMO PUNTO non ho vinto la borsa di studio? EH?>>
Senza accorgermene, il mio tono era salito in volume, acredine e anche pateticità, non lo nego. Ma lui, dal canto suo, non fece una piega.
Come al solito.
Conosci il detto ‘Le vie del signore sono infinite’? Ecco, chiunque sia stato a dirtelo, hai la mia benedizione per riempirlo di cazzotti. Quella non è la mia risposta, né penso lo sarà mai. Hai la minima idea di cosa accadrebbe se dovessi esaudire tutte le richieste a me fatte? Si creerebbe il caos, un caos che non si è visto mai sulla Terra dai tempi di Babilonia. Mai visto “Una settimana da Dio”? Ecco, immagina quell’effetto moltiplicato per milioni di famiglie, migliaia di civiltà, miliardi di persone. Se qualcuno vince, qualcun altro deve per forza di cose perdere: accettalo, è questa la realtà.
Sentirmi sbattere in faccia proprio da Lui una simile verità acclarata tra noi poveri mortali, da Lui, che tutto può e che deve essere per il bene, mi fece finalmente aprire gli occhi su quanto ipocrita fosse quel Dio. E ironicamente, su quanto coerente fosse la sua Chiesa qui sul pianeta. Mi alzo, sbattendo le mani sul tavolo per darmi lo slancio, e lo fisso con occhi di fuoco, sentendomi in questo momento molto simile a Lucifero quando si ribellò a quest’essere mefitico. E dev’essersene accorto pure lui, perché per la primissima volta da che è in casa, nei suoi occhi da avatar vedo un’emozione che non mi aspettavo di poter associare a Dio: il timore.
<<Allora io cosa sarei? L’eterno perdente? L’apoteosi della sconfitta? Il re del niente? Il vincitore del primo premio a Mister Disgrazia? Bene! Benissimo! Grazie davvero, per tutto quanto! Ora so che la colpa del mio mancato Charizard, del mio essere sempre secondo, del mio essere un derelitto e un disgraziato, è soltanto tua! Tua, e di quel flaccido, pomposo, ultramillenario CULO che non ti abbassi ad alzare per quelli come me!!!>>
Lo ammetto, ci sono andato giù di brutto, e senza nemmeno frenare la voce, ma ero incazzato come l’ultimo in coda alla posta, che si vede chiudere lo sportello in faccia proprio quando sta per arrivare il suo turno.
Lo so, non è affatto piacevole. E se ne accorse pure Lui.
 Non arrabbiati troppo, cucciolo d’uomo. Sei solo un po’ sfigato, tutto qua…ammesso che sfigato si possa definire l’uomo che ha al suo fianco il creatore del tutto.
Per poco non gli sputo in un occhio. Mi trattengo solo per…beh, non per grazia divina, questo è certo. Diciamo più per un mio personale precetto d’educazione.
<<Tsk! Un creatore del tutto incapace di materializzare un pacco di zucchero e dominato dall’accidia e da un senso dell’umorismo grottesco? Preferirei passare quarant’anni da solo nel deserto!>>
Non è così male, dopotutto, se sai dove comprare il tuo make up…
<<Chiudi il becco, tu, patriarca del mio scroto!>>
E qui faccio una cosa che morivo dalla voglia di fare fin dal primo incontro con lui. Inutile, nella mia mente razionale, ma che si sarebbe rivelata più tardi molto preziosa. Lo guardo fisso, senza pietà, con l’espressione immobile come la sua.
<<Per quello che vale, non farò mai più affidamento su di te, Dio! Ripudio il pensiero della tua onnipotenza o della tua “infinita bontà” di facciata! Guarda! Alla fine l’ho pulita io la cucina! E non hai neanche comprato lo zucchero, che tra l’altro potevi far comparire con tanto di schiocco di dita! Da questo momento, io ti disconosco! Non ho più bisogno di te!>>
Mi giro, con il volto verso il muro per non dover guardare nessuno dei due. So soltanto che passano due minuti di silenzio assoluto, e per un folle momento ho quasi pensato che ciò fosse bastato a farli sparire. Ma poi, una mano si posa sulla mia spalla sinistra. La Sua.
Come meglio credi, figliolo, anche se temo che la cosa ti sarà più difficile di quanto credi…ad ogni modo, farò tornare le tubature com’erano, e di Shalomm non sentirai nemmeno l’odore.
Mi volto, con espressione ancora dura, ma nella mente ho registrato il cambiamento di tono del Divino nell’ultima affermazione. Placido, tenue, quasi…sì, quasi sottomesso. Come se la mia fiducia contasse effettivamente per lui.
<<D’accordo allora!>>
La sensazione che in quell’accondiscendenza c’è qualcosa di anomalo mi accompagna anche quando lascio la cucina e mi reco in bagno, riuscendo per la prima volta dall’apparizione del Padreterno a lavarmi la faccia senza dover sbroccare per un’overdose da Smirnoff. E quando torno in cucina, indovinate un po’? Completa desolazione, non c’era più nessuno, neanche gli aghi di pino, il silenzio, o i funghi (dovevo fare la spesa, abbiate pazienza).
Mi recai il giorno dopo all’università per la mia prima lezione alla facoltà di psicologia. Già, ridendo e sclerando non mi sono presentato: mi chiamo Salvatore, e sono uno studente fuori sede. Tanto vi basti sapere, al momento.
Dopo l’interessantissima disquisizione su come fare una statistica sull’aggressività infantile dopo avere guardato i Simpson in una stanza dalle pareti rosse, decisi che attività come prendere appunti, dormire o scarabocchiare simboli astratti potevano attendere, e feci conoscenza con le altre anime perdute dell’aula. Ci fu una ragazza che catturò il mio interesse, e dopo aver fatto le dovute presentazioni mi resi conto che era davvero un tipo interessante (oltre ad essere una figa da panico, ma questo è un dettaglio). Si chiamava Irene, ossia ‘pace’, in greco. E guarda un po’, proprio di pace avevo bisogno, ora.
Dopo aver parlato, riso e scherzato per quasi quattro ore filate, capitò il fatale momento in cui mi fece la domanda. Quella che qualsiasi scrittore di serie B farebbe porre a una potenziale partner femminile nei riguardi del protagonista della sua storia.
<<Ma tu…ci credi in Dio?>>
Già, mi ha chiesto proprio questo. Piuttosto ironico.
<<Non esattamente. Diciamo che ho un modo tutto mio di ‘essergli fedele’>>
Beh, so che non è un prodigio di precisione, come risposta, ma voi al posto mio che avreste fatto? Sfortunatamente, ebbi la malsana idea di spiccicare tre parole. Tre catastrofiche, apocalittiche, cataclismatiche parole, vincolate alla mia lingua dall’innata curiosità umana e da quel flagello silenzioso chiamato “protocollo sociale”.
<< E tu, invece?>>
Mi bastò udire la risposta di lei, per ripetermi che avrei dovuto aspettarmelo. Tutto filava liscio, troppo liscio per essere il disegno del Dio che avevo imparato a conoscere e sopportare. Era stato comprensivo, mi aveva dato tanta, tantissima corda: e come si suol dire, ‘dai abbastanza corda a un disperato, e ci si impiccherà da solo’. In quel preciso istante, capii cosa provavano le palle da baseball: cullate in un’atmosfera sognante di cuoio morbido, protette dal vento e dagli sputi, solo per poi essere proiettate a folli velocità e godere di quel volo improvvisato, ignare che c’è un tizio dall’altra parte della traiettoria col ghigno sicuro di un trollface, una mazza di legno con su scritto a lettere fiammeggianti “Perdente”, e la voglia matta di sbattercela addosso e farci scomparire oltre i limiti dello sguardo.
<<Io sì. Sono cattolica praticante>>
BANG.






                                                                                     (c)Sigmund&fafnir

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